Le ballate hanno la capacità di concentrare in pochi minuti storie che potrebbero essere raccontate in un’intera pellicola di film. Mi affascina molto questo tipo di scrittura che ha modelli importanti in canzoni come Pancho & Lefty e Il Bandito e il Campione. Eric Taylor era un maestro nello scrivere ballate. Ricordo la notte in cui gli feci ascoltare Brasile in uno dei leggendari dopofestival del Townes Van Zandt al Pub Amandla. C’era anche Luigi Grechi e c’era anche il mio amico Samuele che si innamorò della canzone; gliela dedicavo ogni volta che la suonavo in concerto e lui sognava che un giorno la facessi produrre a Neilson Hubbard. Detto fatto. Neilson ha avvolto di mistero questo viaggio surreale dal porto di Livorno a quello di Rio De Janeiro. Il viaggio di un uomo che decide di cominciare una nuova vita in una terra lontana, ma che dovrà tornare in Italia, in carcere a Verona: il passato torna sempre a bussare. Ed è per quella terra, tatuata a tal punto dentro di sé, che i compagni di cella e i secondini lo chiamavano Brasile. Alla fine della storia c’è una rocambolesca fuga in cerca della libertà e di un’altra nuova vita.
Brasile
testo e musica di Andrea Parodi
L'ombra del vento è un assassino che ha ceduto al suo dolore
Si è sdraiata dove passa il treno a pochi passi dal tuo cuore
Luigi parla poco e quando parla non ti dice cosa fare
Ti è rimasta soltanto quella pipa e una casa da pagare
Miralo bene, colpisci da lontano
Respira, trattieni il fiato, tieni ferma la tua mano
A Livorno mi venne incontro un uomo vestito da serpente,
Occhi rossi, grossi anelli, poca barba e nemmeno un dente
Mi offrì da bere e un lavoro sulla nave "Grazia di Dio"
Dopo tre mesi arrivammo in Brasile nel porto di Rio
E i bambini ci venivano incontro come si va incontro alla vita
E le madri sulle porte, le caviglie gonfie e i rosari fra le dita
Dopo tre anni mi consegnarono una lettera che arrivava da Verona
Dovevo costituirmi per omicidio di persona
È febbraio ed è l'ultima volta che vedo questo mare
Non è mai il momento giusto per fermarsi a ricordare
Non conosco mio padre e non l'ho mai cercato
Ma conservo ancora lo sguardo e la voce che mi ha dato
Non importa più chi sono se sia marzo o aprile
I compagni di cella mi chiamano Brasile
Gli racconto del profumo del cacao e del caffè
e di questa strana nostalgia che non sanno cos'è
Il tetto del cielo infinito di questo viaggio,
la tristezza finirà domattina dentro un altro tatuaggio
Ettore ha ammazzato sua sorella o l'ha aiutata a dormire
Sono mesi che studia un piano infallibile per farci uscire
Proprio oggi ho ricevuto un'altra lettera e la mia vecchia pipa
Non mi sento di aprirla, fumavo sì, ma in un'altra vita
E domani riusciremo a fuggire e sarà un grande giorno
Chissà se mi aspetta un'altra nave al porto di Livorno
I miei compagni li hanno presi a metà galleria
E ora mi restano la mia ombra e una faina a farmi compagnia
Guarda avanti, non puoi più tornare indietro
Striscia nudo in mezzo al fieno, ché questa notte taglia più del vetro
Credits
Andrea Parodi – vocals
David Carroll – bass
Brannen Temple – drums
Neilson Hubbard – piano
Eamon McLouglin – violin
Juan Solorzano – pedal steel
Mixed by Neilson Hubbard
Engineered by Dylan Alldredge
"Brasile" è la traccia n.08 dell'album Andrea Parodi Zabala